La terapia di gruppo di Zerocalcare

Ho rivisto la serie di Calcare 3 volte, la prima tutta d’un fiato, un venerdì sera stanco e autunnale; poi a mozzichetti, un poco alla volta, come se volessi assaporare intensamente gli ingredienti singoli di un piatto che, la prima volta che l’ho assaggiato, mi era esploso in bocca, facendomi provare, in una deflagrazione psichedelica, ritmata e nello stesso tempo semplicissima, qualcosa di unico.

In quell’ora e mezza c’è davvero un universo.
Di emozioni, di storie, di dissenso, di protesta sociale, ci sono le punte più alte e quelle più basse dell’essere unamo. C’è qualcosa di grandissimo, nella legittimazione del disagio dei giovani adulti di oggi, un disagio che Calcare rende universale, permettendo ad ogni trentenne di sentire che non è il solo a sentirsi in quel modo, a non sapere dove mettersi e a fare che.

In 6 pezzetti di 20 minuti, c’è la denuncia delle promesse non mantenute, urlata dallo schermo di un cellulare in quel “chi è felice è complice”; perché se sei felice vuol dire che hai chiuso gli occhi su un disastro storico-socio-culturale globale e vivi in superficie, scollato da una realtà ingombrante.

E più di tutto, c’è una generazione (forse 2) che cammina su un filo, in equilibrio precario tra ciò che è e ciò che avrebbe dovuto essere, tra paura e speranza, tra paralisi e voglia di continuare a strappare, qualunque sia la direzione, qualunque sia il costo, oltre la morte; perché per vivere, comunque, devi – continuare – a strappare -.

La verità è che la serie di Calcare è come una specie di immensa seduta psicoterapeutica di gruppo. Chi se lo è potuto permettere – oltre le banali resistenze e la futilità superficiale del romanaccio, in differita, ognuno a casa propria, dal proprio divano – si è trovato parte di qualcosa di più grande, in un sentire collettivo un po’ catartico che, in un modo o nell’altro, ci ha fatto sentire tutti più vicini.

E di questi tempi, mi sembra una cosa di una potenza straordinaria.

(Immagini dal web)

EMDR

COSA, COME, QUANDO, PERCHE’

CHE COS’E’ L’EMDR

L’EMDR (dall’inglese Eye Movement Desensitization and Reprocessing, Desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari) è un metodo psicoterapeutico strutturato, la cui validità è comprovata da numerosi studi scientifici che ne riportano l’efficacia nel trattamento di diverse psicopatologie, tra cui depressione, ansia e attacchi di panico, fobie, lutto acuto, sintomi somatici e dipendenze (www.emdr.it).

La terapia EMDR ha come base teorica il modello AIP (Adaptive Information Processing), da cui si apprende che i ricordi non elaborati possono dare origine a disfunzioni di varia intensità. Secondo tale modello, ognuno di noi possiede un sistema innato di elaborazione delle informazioni che consente di metabolizzare anche gli eventi difficili che affrontiamo nella nostra vita. Ci sono, tuttavia, alcune circostanze che impediscono al nostro sistema innato di procedere autonomamente all’elaborazione delle esperienze negative, così che il ricordo di alcuni eventi rimane “congelato”, ovverosia immagazzinato all’interno della nostra memoria con le stesse caratteristiche e la stessa intensità del momento esatto in cui lo abbiamo vissuto. Questo “intoppo” nel processo di elaborazione può dare origine, nel tempo, a manifestazioni sintomatiche ed a condizioni patologiche e di disagio, poiché il presente sollecita continuamente ciò che si è sperimentato nel passato, in un tempo che sembra bloccato.

L’EMDR si sofferma e concentra proprio sugli eventi non elaborati, che possiamo definire “traumatici“.

Gli eventi traumatici si dividono in due categorie: traumi con la “T” maiuscola e traumi con la “t” minuscola. Sono traumi con la “T” maiuscola quelli che derivano da eventi singoli dal potenziale devastante, in cui l’individuo sperimenta, in prima persona o come spettatore, un pericolo di vita, oppure vede minacciata, in modo importante, la propria incolumità e/o quella delle persone care o che lo circondano. Rientrano in tale tipologia di trauma terremoti e catastrofi naturali, malattie, incidenti, episodi di violenza sessuale e fisica, attacchi terroristici, rapimenti etc.

Sono traumi con la “t” minuscola quelli derivanti da esperienze critiche ripetute nel tempo e che hanno una natura relazionale. Si tratta di esperienze che, gradualmente, intaccano il Sé, il nucleo profondo alla base della propria identità, indebolendolo e rendendolo fragile. Traumi di questo tipo condizionano ciò che l’individuo pensa di sé stesso, minano la sua autostima e, conseguentemente, la sua integrità ed il suo funzionamento psichico.

Nella prospettiva dell’EMDR i disturbi che spingono il paziente a richiedere una psicoterapia sono causati proprio da informazioni immagazzinate nella memoria (ricordi) in modo disfunzionale.

COME FUNZIONA

Attraverso l’utilizzo strutturato della stimolazione bilaterale, l’EMDR permette di accedere ai ricordi traumatici alla base del disagio attuale del paziente e di procedere alla loro elaborazione; la stimolazione destra-sinistra, infatti, consente la riattivazione del sistema di elaborazione delle informazioni, consentendogli di portare a termine il lavoro che era rimasto in sospeso al momento dell’evento e consentendo una risoluzione adattiva. L’EMDR va dunque a riattivare una risorsa innata dell’essere umano, favorendo l’autoguarigione ed i processi di integrazione. In questo modo, i sintomi ed il malessere del paziente, vanno incontro ad una strutturale remissione: il passato non condiziona più il presente e, soprattutto, la pianificazione del futuro.

QUANDO RIVOLGERSI AD UN TERAPEUTA EMDR

  • sempre, dopo eventi traumatici con la T grande, poiché il metodo è riconosciuto a livello internazionale come trattamento di elezione per il PTSD (Disturbo da stress post-traumatico) e nei disturbi stress-correlati.
  • per iniziare e pianificare un percorso terapeutico, qualunque sia la motivazione di base.
  • se si è già in terapia, ma si vogliono affrontare, col supporto del metodo ed in sinergia col proprio terapeuta, eventi specifici che bloccano l’evoluzione fluida del percorso, ostacolando la risoluzione completa delle problematiche riportate.
  • se si avverte l’esigenza di approfondire aspetti di una psicoterapia già conclusa, poiché si verifica, magari a distanza di tempo, la riattivazioni di vecchie problematiche o di aspetti che si percepiscono come irrisolti.

PERCHE’ FARE UNA TERAPIA CON EMDR

. perché accelera il percorso terapuetico, individuando sin da subito gli eventi all’origine del problema e consentendo, così, un lavoro mirato, che va a scardinarlo dalle sue origini.

. perché agisce facendo leva su risorse innate della persona, riattivando processi che ne migliorano il funzionamento psicofisico generale.

. perché elaborare un ricordo significa far sì che la rete di neuroni che contiene le informazioni sull’evento traumatico si muova dalle aree limbiche del nostro cervello alle aree della corteccia associativa; questo determina un cambiamento strutturale a livello cerebrale, che conferisce solidità e stabilità ai risultati terapeutici, riducendo in modo significativo regressioni e ricadute.

PSICODIARIO: dalla stanza della terapia

Ci sono volte che le terapie vanno oltre le aspettative, anche quando si tratta delle aspettative di una come me che punta sempre al poker, con poca propensione al compromesso.
Eppure certe volte, certi percorsi, sembra che sovvertano l’ordine universale, ti fanno credere nella magia, anche se hai solide fondamenta scientifiche cui appellarti, ti caricano di luce, di una speranza che si mette a circolare ovunque. Ci sono persone che, durante la psicoterapia, tirano fuori uno strano potere che irradia un senso di possibile tutto intorno, talmente intenso che esce da quella stanza sospesa tra il tempo e lo spazio, tra il passato ed il futuro, tra il dolore assordante e la guarigione.
E ti fa credere, rinnova un atto di fede che hai fatto anni prima, fede in un lavoro, in un processo, nella vita – che se te lo concedi ti da sempre un’altra possibilità – in te come strumento di lavoro, che seppure piena di bozzi e abbozzi, va bene lo stesso.
E questo è successo oggi, che alla fine della sua terapia, la paziente ha detto: “grazie a questo lavoro, ho trovato il mio posto nel mondo”
A me capita ancora, a volte, di titubare su quale sia il mio di posto, mentre lei, invece, lo sapeva qual era il suo, ne era certa e risplendeva. Forte. Felice.
E non ho potuto che credere ancora!
Grazie profondamente.


LUNEDÌ AI TEMPI DEL VIRUS: COSTRUIRE BELLEZZA

Immagine del web

È lunedì, un altro, l’ennesimo, che batte l’inizio di una nuova settimana. Come tutti i lunedì c’è intensa, la spinta a fare, realizzare, concretizzare, progettare. Ma tutto questo si scontra, ormai da mesi, con una complessità ed una grande pressione difficile da ignorare.L’immagine che mi viene in mente è quella di una grande mongolfiera bella, colorata, imponente, pronta al volo, nel momento in cui si stacca da terra, alla quale però è impedito di alzarsi verso l’alto da una zavorra pesantissima.È un po’ quello che ognuno di noi a proprio modo vive in questi mesi altalenanti, incerti, mutevoli, pieni di ansie e pressione e, nello stesso tempo, pieni della voglia di andare avanti ad ogni costo, di non arrendersi al potenziale distruttivo di questa circostanza.Ogni settimana qualcuno dei miei pazienti affronta un tampone o è in isolamento fiduciario o teme per la salute di una persona cara.Qualcuno ha perso il lavoro o è in grande difficoltà, qualcun altro è preoccupato per i propri figli, per la realizzazione dei propri progetti, per la difficoltà di costruire un futuro che, però, non si riesce a scorgere, a delineare.Esco da studio con un senso di compressione fortissimo, guardo intorno i volti tesi e affaticati delle persone; di contro mi muovo, insieme a tutti, in una realtà in cui gli spazi di ricarica, di svago, di nutrimento interiore, di socialità ed interazione sono fortemente limitati e compromessi o, nella migliore delle ipotesi, richiedono forti sforzi creativi per essere tenuti in vita.Nonostante tutto questo, però, la spinta in avanti, la pulsione di vita, come direbbe il geniale, caro Freud, continua a prendere prepotentemente il sopravvento.Dal week end in avanti, dopo una lunga analisi e riflessione, mi sono data un compito, proprio come faccio a studio, con i miei pazienti!”Cerca bellezza nelle cose piccole di tutti i giorni, concentrati su ciò che hai e non su ciò che hai perso, compi almeno un atto di bellezza, gentilezza o creatività ogni singolo giorno”.E da lì ho scoperto piante bellissime nel parco malconcio vicino a casa, funghi nel centro della città, quadrifogli nel vaso del terrazzo, ho impastato una nuovo intruglio, ho riscoperto quanto amore ho intorno, ho ringraziato perché i miei pazienti stanno tutti bene, ho sentito forte la vita che pulsa, spinge, trascina.E la mongolfiera ha fatto un forte balzo verso l’alto.Buona settimana a voi, amici e lettori;lasciate un commento con la vostra pillola di bellezza quotidiana, raccontate come avete tenuto alta la tua mongolfiera. Puoi aiutare qualcuno che ha avuto una giornata peggiore della vostra a trovare vento a favore…

La mia quarantena iniziava così…

Credo che il cosmo abbia il suo modo di riequilibrare le cose e le sue leggi, quando queste vengono stravolte e condivido con voi alcune riflessioni.
Il momento che stiamo vivendo, pieno di anomalie e paradossi, fa pensare…
In una fase in cui il cambiamento climatico causato dai disastri ambientali è arrivato a livelli preoccupanti, la Cina in primis e tanti paesi a seguire, sono costretti al blocco; l’economia collassa, ma l’inquinamento scende in maniera considerevole. L’aria migliora; si usa la mascherina, ma si respira…

In un momento storico in cui certe ideologie e politiche discriminatorie, con forti richiami ad un passato meschino, si stanno riattivando in tutto il mondo, arriva un virus che ci fa sperimentare che, in un attimo, possiamo diventare i discriminati, i segregati, quelli bloccati alla frontiera, quelli che portano le malattie. Anche se non ne abbiamo colpa. Anche se siamo bianchi, occidentali e viaggiamo in business class.

In una società fondata sulla produttività e sul consumo, in cui tutti corriamo 14 ore al giorno dietro a non si sa bene cosa, senza sabati nè domeniche, senza più rossi del calendario, da un momento all’altro, arriva lo stop.
Fermi, a casa, giorni e giorni. A fare i conti con un tempo di cui abbiamo perso il valore, se non è misurabile in compenso, in denaro.
Sappiamo ancora cosa farcene?

In una fase in cui la crescita dei propri figli è, per forza di cose, delegata spesso a figure ed istituzioni altre, il virus chiude le scuole e costringe a trovare soluzioni alternative, a rimettere insieme mamme e papà con i propri bimbi. Ci costringe a rifare famiglia.

In una dimensione in cui le relazioni, la comunicazione, la socialità sono giocate prevalentemente nel “non-spazio” del virtuale, del social network, dandoci l’illusione della vicinanza, il virus ci toglie quella vera di vicinanza, quella reale: che nessuno si tocchi, niente baci, niente abbracci, a distanza, nel freddo del non-contatto.
Quanto abbiamo dato per scontato questi gesti ed il loro significato?

In una fase sociale in cui pensare al proprio orto è diventata la regola, il virus ci manda un messaggio chiaro: l’unico modo per uscirne è la reciprocità, il senso di appartenenza, la comunita, il sentire di essere parte di qualcosa di più grande di cui prendersi cura e che si può prendere cura di noi. La responsabilità condivisa, il sentire che dalle tue azioni dipendono le sorti non solo tue, ma di tutti quelli che ti circondano. E che tu dipendi da loro.

Allora, se smettiamo di fare la caccia alle streghe, di domandarci di chi è la colpa o perché è accaduto tutto questo, ma ci domandiamo cosa possiamo imparare da questo, credo che abbiamo tutti molto su cui riflettere ed impegnarci.
Perchè col cosmo e le sue leggi, evidentemente, siamo in debito spinto.
Ce lo sta spiegando il virus, a caro prezzo.

A scuola a 5 anni: si o no?

Una delle questioni più delicate che i genitori di bimbi in età pre-scolare si trovano ad affrontare è: primina sì – primina no.

Nonostante i numerosi studi a supporto di un ingresso a scuola successivo al compimento dei 6 anni di età, c’è ancora molta disinformazione ed è forte la tendenza a sottovalutare le implicazioni dell’ingresso anticipato a scuola per i bambini.

Ad aggravare la situazione, la presenza di educatori della scuola materna che, ancora oggi, incoraggiano i genitori a far entrare i propri figli a scuola prima dei sei anni, al suono della canonica e scampanellante frase “il bambino è pronto”.

Ma che vuol dire essere pronto? Siamo sicuri che sia davvero così? E, rialzo, siamo sicuri che “essere pronti” sia sufficiente? Bene, proviamo a darci delle risposte semplici e fruibili. La tendenza frequente è quella di considerare il livello di sviluppo cognitivo come l‘unico indicatore rilevante ai fini della scelta. Capita spesso che i bambini, specie in questa fase storica, siano estremamente svegli e ricettivi, rapidi nell’apprendimento. Sono tanti quelli in grado di scrivere e riconoscere le lettere ed i numeri, di firmare, di contare in una lingua straniera almeno fino a 10; per non parlare delle competenze mostruose – nel senso letterale dell termine – che i bambini di oggi hanno nel campo dell’informatica; sovente, superano mamme e papà, cosa mostruosa, per l’appunto. Ciò porta molti a considerare “tutto pronto” per l’inizio della scuola primaria.

il blog della psicologa primina

Ma l’errore che si compie è fatale e parte da una considerazione molto semplice. Lo sviluppo di un bambino NON riguarda solo le competenze cognitive. CRESCERE non significa solo saper leggere e fare di conto, tutt’altro. Lo sviluppo alla base di una crescita sana ed armonica coinvolge la sfera psico-motoria, affettiva, emotiva, sociale e relazionale. Capiamo, quindi, che c’è molto altro da tenere in considerazione. Apprendere non significa solo acquisire nozioni; in una condizione ottimale, è necessario tenere conto, tanto per cominciare, delle competenze emotive del bambino, della sua capacità di tollerare le frustrazioni, di non riuscire ad ottenere sempre risultati positivi – cosa che a scuola può accadere – di non essere allo stesso livello dei suoi compagni, ad esempio. Pensiamo, poi, alla capacità di concentrazione che, all’età di cui ci stiamo occupando, cresce in modo esponenziale da un anno all’altro: ascoltare in modo attivo e stare seduti al banco per numerose ore può essere davvero molto faticoso. Pensiamo, ancora, alle abilità sociali e relazionali. Il fatto che un bambino sia socievole e ami giocare con gli altri, non significa che sia pronto a gestire un gruppo classe in condizione di apprendimento. Le implicazioni sono maggiori e possono avere un grosso peso. La scuola è un contesto in cui il bambino sperimenta le logiche del rendimento e del profitto, della prestazione finalizzata al risultato, dell’operato sottoposto a valutazione, della competizione sul risultato. Inoltre, un bambino anticipatario si confronterà, per tutta la sua vita scolastica, con bambini più grandi di lui e, quindi, in molti casi, più competenti.

Se lo sviluppo strutturale del bambino non è adeguato, si rischia di sottoporlo a livelli di tensione per lui ingestibili e, è bene tenerlo presente, piuttosto ingiustificati.

È necessario considerare che 6-8 mesi, in questa fase di sviluppo, sono determinanti. I processi di accrescimento neurofisiologico, da bambini, sono rapidissimi e molto delicati. Sottoporre l’individuo a condizioni stressogene, come l’ingresso anticipato a scuola, può comportare conseguenze che andranno ad impattare su tutto il processo di sviluppo, nelle diverse aree considerate. Alcune delle ripercussioni, spesso, diventano visibili nel lungo periodo. A fronte di un numero esperienze positive, che è certamente riscontrabile, dobbiamo avere contezza che, nella maggioranza dei casi, le cose vanno diversamente. Gli studi longitudinali, infatti, mostrano accordo nel rilevare che i bambini anticipatari, da adulti, riportano livelli di autostima più bassi, livelli di ansia generalizzata e di ansia da prestazione più elevati, nonché vari gap nell’apprendimento che si trascinano nella crescita.

Inoltre, mandare il bambino a scuola prima del dovuto, gli toglie molti mesi di gioco; ed è proprio attraverso il gioco che si snoda una parte significativa del processo di crescita e che molte abilità si evolvono. Giocare, per i più piccoli, è un vero e proprio impegno, un lavoro importante che consente loro di crescere in modo fluido, articolato e completo.

Anticipare l’ingresso a scuola significa, dunque, chiedere al bambino di svolgere compiti non conformi al suo livello evolutivo; azioni di questo tipo sono note come “adultizzazioni” e sono riconosciute dalla comunità scientifica come delle vere e proprie traumatizzazioni, in una fase di vita in cui il sistema neurofisiologico è particolarmente delicato e vulnerabile.

Lo sanno bene, ad esempio, molti Paesi del Nord-Europa, Svezia e Finlandia in prima fila, che da anni ormai hanno impostato l’ingresso a scuola a 7 anni. Parliamo di paesi che hanno messo a punto sistemi educativi altamente evoluti, cui tutta l’Europa, e non solo, guardano con ammirazione e spirito di emulazione. Il rispetto dei tempi, allora, diventa la regola centrale.

Dare ai bambini il tempo giusto, necessario, legittimo per diventare grandi, uscendo da logiche frettolose ed immotivate che usurpano esperienza, tempo, crescita, gioco, vita. Una volta entrati nel sistema didattico, non si torna indietro. Si studierà per molti anni, senza soluzione di continuità. Ma allora qual è il reale motivo per cui si spingono i bambini così in avanti?

Lo facciamo davvero per loro? O forse no? Questa è una buona domanda che un genitore dovrebbe porsi.

Ogni risposta sarà giusta, se data in autenticità, coerenza con i propri principi educativi e sulla base di informazioni fondate ed attendibili, sempre – e risottolineo – SEMPRE – con il bambino al centro.

(FOTO DAL WEB)

Il pensiero strategico

La psicoterapia strategica ha radici molto lontane, riconducibili al “pensiero strategico“.
Esso fu portato alla sua massima espressione dalle culture orientali già molti millenni fa.
Il libro de “I 36 stratagemmi“, insieme a “L’arte della guerra” di Sun Tzu, ci consegnano una testimonianza straordinaria; offrono spunti di riflessione che spingono a leggere la realtà fuori dai canoni tradizionali, con un occhio sempre lucido e sagace, capace di cogliere le sfumature e di attivare, poi, modalità di pensiero e di azione strategici, per l’appunto.
Ancora oggi, i grandi manager, gli economisti, nonché i più illustri capi di stato studiano e traggono ispirazione da questi testi.
Ecco un piccolo esempio tratto da “I 36 stratagemmi“.
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Pensiero strategico

Prescrizione della settimana ✔

Trasforma un limite in risorsa: quale aspetto del tuo carattere consideri un difetto?
Prova a girare la medaglia ed a pensare come puoi farlo diventare utile e funzionale, magari modificandone leggermente i contorni.
Ogni giorno impegnati ad applicare la tua risorsa; alla fine della settimana, non avrai più un difetto, ma una nuova consapevolezza.

Il Blog della Psicologa  - Dott.ssa Francesca Morelli

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Prescrizione del giorno ✔

Rompi la regola del “sono fatto così“.
Disobbedisci a te stesso ed a come sei fatto, ad un tuo modo fare abituale che non ti piace o non funziona.
Dimostrati che puoi fare diversamente e, quindi, essere “diversamente”.
E poi, goditi i risultati!

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www.francescamorelli.com/ilblogdellapsicologa